Usare la psicologia Starbucks per creare un’esperienza indimenticabile nel tuo museo

Schultz musei

Uno dei più importanti motivi del successo di Starbucks è l’esser considerato dal proprio pubblico una sorta di third home, ossia una “terza casa”: un luogo di completo relax, d’evasione. 

L’alternativa perfetta al caffè tra le mura domestiche e quello di corsa tra una riunione lavorativa e l’altra.

Howard Schultz, colui che contribuì in modo significativo all’incremento degli utili dell’azienda ed alla sua internazionalizzazione, nel suo libro “From the ground up: a journey to reimagine the promise of America” sottolinea le nuove responsabilità che i manager, le realtà e i cittadini condividono nella società di oggi. 

E pone l’accento su come questa responsabilità lo abbia portato a creare un’azienda con una coscienza sociale.

Da sempre infatti il brand Starbucks ha un ruolo e un rapporto significativo con le persone che non riguarda solo il prodotto del caffè.

Dirà Shultz:

“Sono stato preso dal potere che può avere l’assaggio di una semplice tazza di caffè per collegare le persone e creare comunità”.

Soffermiamoci adesso su quel collegare le persone e creare comunità. 

Non lo fai semplicemente scrivendo il nome sui bicchieri dei clienti per “sintonizzarsi” con loro come molti banalizzano, bensì creando un’esperienza completa indimenticabile.

Partendo dal libro di Schultz, integrandolo con quello di Jennifer Clinehens “Choice Hacking: How to use psychology and behavioral science to create an experience that sings” e da alcuni suoi articoli, vorrei riproporti dei ragionamenti affinché tu possa farli tuoi e parzialmente replicarli nel settore culturale. 

Vediamoli insieme. 

1. Messaggi pertinenti e personalizzati

Lo abbiamo visto.

Chiedendo il nome di un cliente e scrivendolo/storpiandolo sulla tazza, Starbucks spinge l’amore per il suo marchio attraverso un’esperienza più personalizzata.

Ma perché?

Secondo uno studio pubblicato sulla rivista Brain Research, un fattore chiave per “sintonizzarsi” è quando le persone sentono il proprio nome. 

La risposta sta in un principio psicologico noto come Cocktail Party Effect. Scoperto negli anni Cinquanta dallo scienziato Colin Cherry, afferma che

le persone si concentrano sulle informazioni più rilevanti per loro.

Non sei convinto? Dai un’occhiata alle seguenti statistiche su come la personalizzazione può portare un reale valore aggiunto ai profitti:

  • il 73% dei consumatori preferisce fare affari con brand che utilizzano informazioni personali per rendere più rilevante la propria esperienza d’acquisto (Digital Trends);
  • l’86% dei consumatori afferma che la personalizzazione ha un ruolo nelle loro decisioni di acquisto (Infosys);
  • il 45% degli acquirenti online è più propenso a fare acquisti su un sito che offre consigli personalizzati (Invesp);
  • all’80% dei consumatori piace quando le mail contengono prodotti o servizi consigliati sulla base di acquisti precedenti (Listrak);
  • il 40% dei consumatori acquista di più dai coloro che personalizzano l’esperienza d’acquisto attraverso i canali (Monetate).

Sempre Monetate, nel proprio studio di Personalization Development Study di fine 2019, ha condiviso i ROI (return on investment) del marketing personalizzato:

  • il 93% delle aziende con una “strategia di personalizzazione avanzata” del marketing ha visto crescere i ricavi;
  • le realtà con un ROI pari o superiore al 2x di tale personalizzazione hanno costituito almeno il 20% del loro budget di marketing;
  • i brand che hanno avuto il più alto ROI di personalizzazione (3x o più) si sono concentrati sulla fedeltà come loro KPI principale.

Il messaggio è chiaro: se vuoi far agire i tuoi visitatori, devi creare un’esperienza il più possibile personalizzata e investire in marketing.

2. Principio del Peak-end

L’economista Daniel Kahneman ha scoperto che il nostro cervello non è in grado di ricordare tutto, quindi utilizza scorciatoie mentali, chiamate euristiche, per individuare ciò che è importante.

Una delle euristiche più importanti è l’emozione: più intense e recenti sono le sensazioni, più memorabile è l’esperienza.

Questi risultati sono il fondamento del principio psicologico noto come principio del Peak-end:

le persone giudicano un’esperienza in base a come si sono sentite nel punto più intenso e alla sua fine, non alla media di ogni momento dell’esperienza.

E questo è vero sia che l’esperienza sia stata buona o cattiva.

Prendiamo Starbucks. Come applica il Peak-end?

Eliminando i due punti più dolorosi: l’attesa per pagare e l’attesa per il caffè.

Attraverso la funzione “ordina in anticipo”, la soluzione digitale di Starbucks permette ai clienti di saltare sia la linea di pagamento che quella di ritiro del caffè. Così ora, quelli che erano due momenti dolorosi nel viaggio del cliente vengono completamente evitati a favore di un’esperienza veloce e senza soluzione di continuità.

Usare una soluzione digitale è il miglior modo per rispondere alle esigenze del tuo cliente

Il direttore di un negozio Starbucks, Jesse Wenkoff-White, lo ha descritto in questo modo:

“È divertente avere una conversazione con i clienti e insegnare loro come si fa un ordine mobile. 

Possiamo avere file abbastanza lunghe al mattino ed è un’opzione fantastica per i clienti che vogliono correre dentro e fuori se sono in ritardo.

Ho avuto così tante persone che mi hanno detto quanto sia comodo e facile. I nostri clienti che lo usano e lo adorano assolutamente”.

Chiaro no?

3. Effetto esca

L’effetto esca descrive come i confronti di prezzo tra i prodotti influenzano la scelta.

Quando ci sono solo due opzioni, e il loro prezzo è “equo”, le persone prendono decisioni in base alle preferenze personali.

Ma se c’è una terza scelta, che molte volte ha un prezzo eccessivo rispetto alle prime due opzioni, cambia il modo in cui le persone considerano tutte le opzioni: la terza opzione è una scelta “esca”.

Lo scopo dell’esca è quello di cambiare la percezione delle altre opzioni, non di vendere.

In che modo Starbucks applica l’effetto esca?

La loro classica struttura a tre livelli è un chiaro segnale. 

Starbucks utilizza questa tecnica di tariffazione strategica in modo che i clienti scelgano la dimensione che fornisce il massimo profitto all’azienda.

Indovinate da quale di questi bicchieri ci guadagna di più?

Quale invece vuole vendere?

4. Avversione delle perdite

Identificato per la prima volta dal premio Nobel Daniel Kahneman, l’avversione per le perdite è un principio psicologico che sottolinea come

la persona sarà disposta a tutto per evitare di “perdere”.

Questo perché, il dolore psicologico della perdita è due volte più potente del piacere di vincere.

Proprio perché è così potente, l’avversione della perdita è molto presente nella psicologia cognitiva e nella teoria delle decisioni. 

Ed è anche una delle tattiche più efficaci per indurre i clienti ad acquistare (l’altra è la Prova Sociale).

L’avversione alle perdite è stata anche chiamata FOMO – Fear of missing out – il temere di essere lasciati fuori dagli eventi eccitanti e di perdere il divertimento.

È probabile che tu ne abbia sentito parlare leggendo qualche articolo in merito all’uso eccessivo dei social network e dal desiderio di restare continuamente connessi con quello che gli altri stanno facendo). 

Ma come fa Starbucks ad approfittare dell’avversione per le perdite?

È famosa per le sue bevande in edizione limitata, come il Pumpkin Spice Milk e il Frappuccino, che creano devoti fan del brand, fino a diventare punti di riferimento culturali: le festose coppe di Natale rosse ad esempio, annunciano l’inizio delle festività natalizie negli Stati Uniti.

Dall’altra, ciò che rende le tazze un punto di riferimento culturale è la creazione di un senso di FOMO per le persone che non hanno messo le mani su una bevanda a disponibilità limitata.

Spinge le persone in negozio e le fa sentire come se facessero parte di qualcosa di esclusivo e speciale.

Come calare queste strategie psicologiche all’interno del tuo museo? 

Partiamo dalla personalizzazione

In un recente studio, Accenture ha trovato tre tattiche di personalizzazione che hanno un effetto diretto sul comportamento d’acquisto:

  • usare il nome: il 56% dei clienti preferirebbe acquistare da chi li conosce per nome;
  • conoscere il passato: il 65% dei clienti preferisce acquistare da chi “conosce la propria storia di acquisti”.
  • sapere a cosa è interessato: il 58% dei clienti preferisce acquistare da chi raccomanda opzioni basate sui loro acquisti passati.

Ecco che, per personalizzare l’esperienza del tuo visitatore, potresti pensare fin da subito a:

  • i principali dati di contatto (nome, cognome, cellulare, mail) di chi visita la tua istituzione;
  • “marcare” cosa ha visto nel tempo. Se troppo impegnativo sapere almeno quando ha fatto la prima visita;
  • chiedere cosa preferirebbe sapere del tuo museo ed inviare nel tempo mail suddivise per interesse e contenuti specifici (se sei una piccola istituzione senza personale rimani sui primi due punti). 

Per fare tutto questo devi avere un CRM specifico (in questo articolo ti parliamo di Active Campaign, quello che è a nostro parere il miglior servizio).

In merito al Principio del Peak-end le cose base da fare sono essenzialmente due.

Da una parte incentivare la prenotazione (e magari il pagamento, anche scontato) in anticipo. Questo aiuterebbe anche ad acquisire i dati di contatto del tuo visitatore. 

Dall’altra dare continuità una volta terminata la visita (ho dedicato un capitolo specifico su questo argomento nel mio libro Ogni Maledetto Museo).

Solo fatto questo potrai pensare a lavorare sull’effetto esca (differenziando la tipologia di biglietti, non tanto su base d’età ma di capacità di spesa) e sull’avversione della perdita (eventi specifici per clienti fidelizzati e disposti a spendere più soldi). 

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