Il tuo museo farà la fine di un negozio Blockbuster?

Gli errori commessi dall’ex colosso della distribuzione potrebbero portare al fallimento anche la tua istituzione

Ti ricordi di Blockbuster? È stata una società di distribuzione statunitense fondata da David Cook nel 1985 e fallita nel 2013: il suo business era focalizzato sull’acquisto a noleggio di prodotti home video e videogiochi, e sulla distribuzione di contenuti.

Perché questo esempio? Perché vedo che la maggior parte dei musei commette i tre mastodontici errori che ha commesso Blockbuster e che l’hanno portata al fallimento. 

I tre errori commessi da Blockbuster

  • Non essere stata in grado di leggere i cambiamenti e ad adattarsi.

In dieci anni, dal 1985 al 1995, Blockbuster ha aperto 4.800 negozi solo negli Stati Uniti. per poi espandersi in altri 25 paesi, tra cui Canada, Australia, Nuova Zelanda, Giappone, Svizzera, Gran Bretagna, Portogallo, Danimarca, Israele, Messico, Argentina e Italia.

La domanda è: com’è stato possibile passare dai 9.000 negozi del 2004 – il momento di massima espansione della catena – ad un unico singolo nostalgico baluardo a Bend, in Oregon? Perchè Blockbuster non ha cambiato strategia?

Ora, prendete il mondo della cultura. Sta perdendo appeal, è sotto gli occhi di tutti: secondo Federculture il 38,5% degli adulti in Italia non partecipa ad alcun tipo di attività culturale. Visti, allora, questi numeri, perché i musei continuano a comportarsi allo stesso modo e non fanno un’auto analisi provando a capire perché un visitatore decide di non andare nel loro museo e di passarci del tempo?

  • Non aver ascoltato le esigenze del proprio pubblico di riferimento.

Reed Hastings, un noleggiatore seriale di DVD da Blockbuster, era stufo di pagare ogni volta 40€ per un ritardo di consegna di un DVD. Così nel 1996 gli venne un’idea: aprire un negozio virtuale istituendo un pagamento mensile di film noleggiabili: nacque Netflix, la conosci vero?

A livello culturale e museale, il 47%, degli italiani, pur sapendo leggere e scrivere, non riesce a comprendere le informazioni e ad interpretare la realtà: allora perché i direttori dei musei non adattano il tono di voce a questo pubblico e forniscono strumenti e piattaforme di “consumo culturale” al passo con i tempi?

  • Fisicità vs automatizzazione.

Per noleggiare un film o un gioco, era necessario entrare in uno store fisico Blockbuster, scegliere da i titoli disponibili, prendere la custodia (vuota), portarla in cassa, attendere che venisse recuperato il DVD, pagare e uscire (ecco perché molti compravano anche altro nel frattempo… pop corn, caramelle, gelati Häagen-Dazs). Il suo “killer”, Netflix, invece, offre la possibilità di “provare” il servizio per un mese con un paio di click, senza muoversi da casa o dal divano: questo consente di attrarre sempre nuovi clienti che provano la nuova piattaforma, magari in una serata noiosa e, se non sono soddisfatti, possono disdire quando vogliono. Se non lo fanno, continueranno a pagare un canone mensile per vedere, senza limiti, tutto il catalogo. 

Se portiamo questo ragionamento a livello museale, torna utile ricordare uno studio dell’Harvard Business Review, che evidenzia come il 65% delle decisioni dei clienti sono prese prima ancora di incontrare il venditore. Cosa significa per un museo? Significa che quando un visitatore ci arriva, si è già informato sullo stesso, sulle opere presenti, sulle altre cose da fare in città. Perché allora la maggior parte dei musei non si concentra sul costruire un sistema di acquisizione clienti meccanizzato e automatizzabile? 

Il futuro della cultura

A seguito di questa riflessioni, sono convinto che, se vogliamo garantire un futuro alla cultura, dobbiamo per forza passare attraverso certi ragionamenti che evitino il fallimento culturale all’orizzonte.

È da queste riflessioni, da un attento esame delle persone e dei loro bisogni, nonché l’ascolto delle loro frustrazioni, che è nato il Metodo Amuse®, un cambiamento di paradigma, di approccio e di mentalità in grado di dare al mondo della cultura la possibilità di restare competitiva in un un mercato che sta cambiando radicalmente. 

Il Metodo Amuse®:

  • consente di attrarre costantemente visitatori;
  • garantisce un elevato livello esperienziale agli ospiti all’interno della struttura;
  • continua a “vendere” altri servizi e prodotti a chi ha già comprato in museo (perché i clienti che hai già acquisito sono più predisposti al ri-acquisto, se trattati bene ovviamente).

Come disse una volta lo stesso Reed Hastings, 

“Ogni tanto si può creare una grande ricchezza in poco tempo, ma bisogna avere molta fortuna. Quando costruisci una organizzazione, devi mettere in conto una grande quantità di lavoro”

Da dove partire per fare tutto questo? Da qui http://ognimaledettomuseo.com/

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